Nel corpo “preparatomi da Dio” e che mi accomuna ad ogni uomo e al tempo stesso mi personalizza, è incisa la mia unicità, la mia irripetibilità, ma anche la mia chiamata ad esistere con gli altri, grazie agli altri e per gli altri: il corpo è appello e memoriale della vocazione di ognuno alla libertà e alla responsabilità. (“Il Corpo”, Luciano Manicardi).

Ogni uomo è accomunato da un elemento che è dono e responsabilità. È fattore di potenzialità e di fragilità. Insieme vita e morte, forza e limite. Tesoro da mostrare, da custodire, da curare. Dono sempre consegnato. Mai deciso, voluto, e purtroppo - pensano alcuni - nemmeno scelto. Questa immensa dimensione è il «corpo», strumento fondante che permette ad ogni uomo di vivere la propria vita e di incarnarsi nella storia.

 

1. Il corpo
luogo della relazione
Non c’è niente come il colore, l’odore,
il rumore di un amico... Se è proprio
necessario, se siamo distanti, pos-
siamo tentare di relazionarci con una
mail o con un sms, via skype o face-
book... ma vuoi mettere la diretta?
Si vede subito – dalla faccia, da come
mette la bocca, dagli occhi e dal ros-
sore, dal movimento delle mani – cosa
pensa e cosa vuole un tuo amico: non
occorrono neanche le parole.
Il primo “medium” è il corpo: ci per-
mette di riconoscere l’altro, di affezio-
narci ai suoi modi, di distinguerlo fra
mille, di raggiungere la sua anima.
I ragazzi rischiano di ricorrere
sempre più a forme intermediate
di relazioni, per evitare frustrazio-
ni e tenere la situazione sotto con-
trollo, per non coinvolgersi troppo
e decidere di volta in volta quanto
giocarsi e quanto trattenersi.
Vogliamo che trovino il gusto della
diretta, dell’avere degli amici veri
e non solo delle reti virtuali e che
provino il gusto di stare anche “fi-
sicamente” con gli altri.
            2. Il corpo
contenitore dell’identità
Il mio corpo sono io. A volte non mi piace tanto come
sono e, per di più, temo di non piacere agli altri, così
come sono. A volte cerco, col mio corpo, di far ve-
dere qualcosa di ciò che sono io dentro; altre volte,
al contrario, cerco di mascherarmi con i vestiti, con
i modi di fare perché non mi fido e ho paura della
disapprovazione.
Possiamo giocare col corpo, mascherarlo, provare
vari vestiti e pose, però ad un certo punto sarà impor-
tante riuscire a stare bene dentro la propria pelle (ve-
stiti compresi): non possiamo continuare a metterci i
vestiti degli altri. Eppure, a volte, abbiamo l’impressio-
ne di essere chiusi dentro i nostri vestiti come dentro
una corazza; celati dietro il nostro trucco come una
difesa, mediati nel nostro profilo web come in una
vetrina.
I ragazzi crescono in un mondo di cose finte
dove l’apparire viene prima dell’essere, la forma
viene prima della sostanza e hanno a disposi-
zione un’infinità di strumenti con i quali possono
“adattare” la propria identità prima che gli altri
entrino davvero in contatto con la loro realtà.
Vogliamo incoraggiare le ragazze e i ragazzi a
guadagnare una maggiore confidenza nella pro-
pria positività, a ricercare, progressivamente, il
bello di essere come sono; a superare la ten-
denza a giudicare secondo le apparenze.
3. Il corpo
come mezzo di comunicazione
Paese che vai, lingua che trovi. Imparare a leggere
i gesti è come imparare una lingua nuova.
A volte non siamo capaci di capire i gesti degli
altri. A volte emettiamo segnali (gesti) che gli al-
tri non riescono a capire ed è come comunicare
con linguaggi ignoti. Le parole passano attraverso
il corpo e senza questa mediazione (e senza la ca-
pacità di comprenderla) sarebbero solo dei suoni
senza dimensione. È il corpo (inteso come la per-
sona, complessivamente, nella sua profondità ed
estensione) che trasforma una sequenza di sillabe
in emozioni e sentimenti, musicalità ed atmosfera,
mettendoci in contatto con tutta l’intimità dell’altro.
I ragazzi sono immersi nel mondo della co-
municazione ma spesso è una comunica-
zione veloce e rumorosa. C’è una povertà di
significato della gestualità e della comunica-
zione non verbale: sia a livello di emissione
che di decodifica. C’è molta fretta nella co-
municazione e si perde molto in attenzione e
concentrazione.
Vogliamo che possano sperimentare le infini-
te variazioni che il nostro corpo può modu-
lare: la ricchezza del gesto, della voce, delle
posizioni e l’importanza si saper “controllare”
il proprio corpo per valorizzarlo in tutto il suo
potenziale espressivo.
  4. Il corpo come strumento
per agire sulla realtà
Tra i piaceri più grandi vi è quello del pro-
durre qualcosa, di usare le proprie mani, i
propri piedi, la propria bocca per “creare”
qualcosa. Non per niente “felice” riman-
da, etimologicamente, alla dimensione
della fecondità, della produttività. Non si
agisce sulla realtà solo pensando (nean-
che intensamente). Tra il dire e il fare c’è
di mezzo... la fatica, il provarci e ripro-
varci.
E non si nasce imparati. Ora, imparare
richiede sempre una specie di “patire”.
Ma ne vale la pena. Quando uno fatica, si
sente anche più vivo, esce da un mondo
di plastica... e mette in gioco le sue infini-
te e peculiari possibilità.
I ragazzi trovano molte cose già fatte.
Non sanno come funzionano, perché
se qualcosa non va si cambia. Non
hanno pazienza. Non hanno manua-
lità. E hanno sempre meno occasioni
per fare fatica, per mettere alla prova
le loro energie, per avere la misura
dei loro limiti e delle loro capacità.
Vogliamo che possano provare il gu-
sto del fare, del costruire con le pro-
prie mani, del faticare insieme.

 

Materale tratto da cregrest.it

Questo sito web utilizza i cookie per migliorare la navigazione. Utilizzando il sito si intende accettata la Cookie Policy